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ll 25 aprile in Italia è la Festa della Liberazione, si ricorda cioè l'anniversario della liberazione dal nazifascismo avvenuta durante la 2a Guerra Mondiale.
(Perchè il 25 Aprile è la Festa della Liberazione ? Tale data corrisponde alla liberazione di Milano dal nazifascismo (25 Aprile 1945), e viene assunta come Festa Nazionale della Liberazione).
L' "Unione di Comuni TERRE ASTIANE" celebra questa ricorrenza a rotazione nei Comuni aderenti all'Unione (Belveglio, Isola d'Asti, Mongardino, Vigliano d'Asti)
Nell'anno 2019 la ricorrenza si celebra a Belveglio, con il seguente programma:
- ore 10,00 ritrovo presso la piazza Vittorio Veneto a Belveglio
- ore 10,15 Cerimonia di deposizione della corona al cippo dei caduti e alzabandiera.
- ore 10,30 S.Messa a suffragio dei caduti.
- ore 11,30 Saluti delle Autorità e inaugurazione della Nuova Passerella sul torrente Tiglione con la denominazione di «Passerella XXV Aprile».
- A seguire rinfresco
LA RESISTENZA A BELVEGLIO
E' sempre più difficile trovare testimonianze viventi di quel periodo storico così travagliato e difficile, ma a Belveglio abbiamo rintracciato Teresio, all'epoca diciasettenne e staffetta partigiana, che ci ha raccontato alcuni episodi vissuti in prima persona
Partigiani del Bricco di Belveglio
Ricordi della Resistenza a Belveglio nel 1944.
Il 6 Giugno 1944 gli Alleati sbarcano in Normandia e cominciano l’avanzata verso il cuore della Germania che raggiungeranno l’anno successivo: finirà così la seconda guerra mondiale.
In Italia è ormai chiaro che la guerra è persa, anche perché l’8 Settembre del ’43 è stato firmato l’armistizio con gli Alleati, generando una situazione di confusione estrema: militari italiani che cercano di ritornare a casa, altri fatti prigionieri e deportati in Germania o nei campi di concentramento o nei campi di lavoro, mentre irriducibili Camicie Nere creano la Repubblica di Salò che imperverserà nel Nord Italia, affiancata ai Tedeschi ormai dominatori della scena, procurando terrore e massacri tra la popolazione costretta a subire sofferenze e umiliazioni.
I Repubblichini (detto in senso spregiativo riferito ai repubblicani della Repubblica di Salò) promulgano leggi che impongono ai reduci ritornati a casa dal fronte di aderire alla Repubblica di Salò e chi non lo fa sarà deportato in Germania. La stessa sorte che spetta a sbandati, ebrei, e persone anche solo sospettate di qualsiasi cosa non in linea con le direttive di Salò.
Il popolo contadino non ama il fascismo, ma ci sono spie e delatori, non sempre conosciuti, che generano sospetti, diffidenza e stati d’ansia continui nella popolazione.
La popolazione contadina esausta e stanca per la mancanza di braccia a lavorare la terra (sono rimasti solo più donne, bambini e anziani), lotta per avere un po’ di cibo con la Tessera Annonaria cercando nel contempo di nascondere qualche sacco di grano con il rischio di gravi ritorsioni, e prova a difendere quel poco rimasto da repubblichini e a volte partigiani.
In questo “ambiente”, si inseriscono i ricordi di Teresio, in quel periodo staffetta partigiana, che con occhi lucidi prova a rivivere alcuni momenti che, anche se un po’ sfumati, non è possibile dimenticare, e che vuole tramandare a nipoti e pronipoti come testimonianza del periodo bellico.
Ecco alcuni momenti ancora vivi nei suoi ricordi.
Luglio 1944: Rastrellamento in Val Tiglione da parte di Tedeschi e Repubblichini.
“…è estate piena, durante il giorno, nel caldo torrido si sente tra gli alberi il canto delle cicale.
Mio fratello Ugo, ferito ma vivo, è tornato a casa dal fronte albanese, per la gioia di tutti, soprattutto di mamma Maria e papà Andrea.
Ci può dare una grossa mano nel lavoro dei campi e nella vigna, nei quali io appena diciasettenne già mi sento stanco e vecchio.
La guerra è ancora attiva in Europa, ma non è che le notizie arrivino puntuali; senza radio e giornali siamo informati dai “si dice” e “ho sentito che…”, notizie false o vere, non si sa.
Viviamo continuamente col pensiero rivolto agli amici ancora al fronte, senza nessuna notizia di loro, come il mio vicino di casa Pinin che ritornerà a casa, fortunatamente, nel Settembre del ’45 a guerra finita e dopo la prigionia in Germania.
Da qualche tempo si sente parlare di un probabile rastrellamento da parte di tedeschi e repubblichini in Val Tiglione, alla ricerca di soldati rientrati a casa dopo l’8 Settembre, e che non hanno aderito alla Repubblica di Salò, di ebrei nascosti in casolari, di giovani che non si sono arruolati con i repubblichini, di dissidenti del regime fascista.
Mio fratello Ugo mi invita sempre a parlare poco e a non manifestare apertamente le mie idee: c’è sempre qualche spia o delatore pronto a denunciare ai repubblichini e ai fascisti.
Una sera, Fiorino arriva trapelato a casa mia, dicendomi che ha sentito a Mombercelli di un imminente rastrellamento a Belveglio e dintorni, gettando nello sconforto la mia famiglia.
Interrompo la cena, e subito cerchiamo di radunare gli amici fidati per decidere sul da farsi.
Avvisiamo mio cugino Teresio, Meo, Cicu, e gli abitanti delle case vicine, e andiamo a discutere nella cascina Roveta, relativamente lontana dal centro abitato.
“Fieuiii” (ragazzi), dice Fiorino, dobbiamo organizzare dei turni di guardia, e appena sentiamo il rumore di camion e parlottare di persone avvisiamo tutti e andiamo a nasconderci tutti dal “fascinè”. (sulla collina davanti alla cascina Baratta! praticamente al centro del triangolo Belveglio, Cortiglione, Vinchio).
Così abbiamo fatto.
Era un po’ di notti che montavamo di guardia a gruppi di due.
Quel giorno cominciava ad albeggiare, e di guardia c’erano Fiorino con Meo, quando ci avvisano che sta iniziando il rastrellamento, avendo sentito i camion arrivare nei dintorni del cimitero di Belveglio.
Vengono poi avvisati tutti gli abitanti delle case vicine.
La luna piena era ancora alta nel cielo, accrescendo la paura di essere scoperti.
Repubblichini e tedeschi stavano circondando la zona circoscritta tra Belveglio, Cortiglione, Vinchio e Mombercelli, come abbiamo appurato qualche giorno dopo.
Dal rombo dei camion e dal parlottare dei soldati erano sicuramente in tanti, almeno una trentina.
Presso il cimitero, si sentivano distintamente lo sbatter delle porte dei camion che trasportavano i tedeschi e i fascisti, e gli ordini secchi e perentori che invitavano a disporsi a gruppi per iniziare il rastrellamento.
L’abbaiare dei cani accresceva la nostra paura e l’angoscia dei miei genitori che ci invitavano ad andare a nasconderci, a fare presto, e e senza far rumore.
Nel silenzio assoluto e con circospezione siamo andati dal “fascinè”, (mucchio di fascine fatte con i tralci delle viti potate), sdraiandoci in mezzo agli arbusti e osservando quello che succedeva a valle.
A bassa voce discutevamo sul da farsi, e vedevamo e sentivamo i repubblichini che dal cimitero avanzavano verso le nostre case.
Non ci siamo accorti, però, di un gruppo di repubblichini che si erano diretti alla Cascina Biglia, praticamente a poche decine di metri dove noi eravamo aqquattati nei pressi del “fascinè”.
Fortunatamente non ci hanno visti e sono proseguiti un po’ sulla collina verso Vinchio, fino alla zona chiamata “Martin”, dove avvistano nella valle “Veramasca” due fratelli di Vinchio, di cui uno partigiano che riuscirà a dileguarsi nonostante gli sparassero contro, mentre l’altro abbastanza più anziano aveva deciso di non scappare, sperando di farla franca.
Sparano, e sul fondovalle “Veramasca”, fanno progioniero il fratello anziano, picchiandolo. Più tardi lo porteranno a valle, nel prato davanti a casa mia.
Nel frattempo, il gruppo di repubblichini che si era fermato nel mio cortile faceva colazione con comportamenti altezzosi e prepotenti.
Il mio vicino Cicu, sotto la minaccia delle armi, era andato a prendere qualche bottiglia di vino da porgere al sergente maggiore, per cercare di evitare prepotenze ulteriori.
In tarda mattinata, una parte di questi repubblichini si era diretto lungo la stradina sterrata che porta a Vinchio, transitando nella valle proprio sotto il “fascinè”, fermandosi a confabulare in regione “Veramasca”, per poi salire sulla collina medesima, proprio di fronte a dove eravamo appostati noi.
Il gruppetto dopo un po’ si è incamminato per ritornare indietro, e raggiungere gli altri commilitoni fermatisi a casa nostra.
Quando abbiamo visto questa scena, abbiamo deciso a gruppetti di trasferirci sulla collina “Veramasca”, e scendere verso il Tiglione, cercando di raggiungerlo per uscire dall’accerchiamento.
Invece mio cugino Teresio e Meo non si sono mossi dal nascondiglio presso il “fascinè”, e ritorneranno a casa alle 4 del pomeriggio, allorchè non hanno più rilevato rumori e presenze sospette.
Io e Fiorino siamo scesi a valle, e poi saliti sulla collina “Veramasca”, indi con molta circospezione, io sono sceso verso la cascina Pavese, quindi ho imboccato la strada nella valle, e sono andato a casa mia, nascondendomi in casa: erano le ore 11. Invece Fiorino è sceso fino al Tiglione, e facendo un lungo giro, anche lui è poi rientrato a casa.
Nel primo pomeriggio, davanti a casa mia arriva anche il gruppo di fascisti che aveva fatto prigioniero il fratello anziano di Vinchio, già percosso in modo selvaggio, e fatto sedere nel prato davanti a casa mia, e ancora percosso duramente, per farsi dire dove si nascondeva il giovane fratello partigiano: ed io ormai rientrato a casa, dalla finestra vedevo e sentivo tutto, ed è un tormento che mi porto dietro ancora oggi.
Più tardi, sghignazzando, e al canto di “Giovinezza, Giovinezza”, i repubblichini col prigioniero sono ripartiti verso Vaglio Serra, dove l’hanno messo contro un muro, divertendosi a torturarlo sparandogli tutto attorno senza colpirlo, continuando a bastonarlo per farlo parlare: questo fatto ha marcato la vita di quest’uomo, che poco dopo si ammalò, e più tardi morì.
In questo mese i repubblicani non sono più tornati a Belveglio, ed il nostro gruppo per ora era salvo.
Nel loro avanzare verso la Val Sarmassa, il giorno dopo, a Vinchio i repubblicani catturano un partigiano di Cortiglione, e durante una sparatoria lo uccidono, e lo caricano sul camion, indi passando dalla Crocetta catturano un mio cugino, Pierino, il quale più tardi perderà un occhio durante un conflitto a fuoco.
Verso le 15, i camion dei repubblichini, oltrepassato Cortiglione, sono poi scesi nella Val Tiglione, dirigendosi verso Montegrosso.
Ma dopo Belveglio, in località Vallone, c’era ad aspettarli la banda partigiana di Belveglio, tra le cui fila figuravano anche partigiani di altre zone, una ventina in tutto, che al sopraggiungere dei camion hanno iniziato le ostilità, e scaricato su di essi una grande quantità di bombe a mano, provocando tra i repubblichini tre morti e parecchi feriti.
La reazione dei repubblichini è stata veemente, costringendo alla fuga i partigiani, con qualche ferito ma nessun morto.
Durante la sparatoria, Pierino della Crocetta si era nascosto sotto il partigiano morto di Cortiglione, ma una scheggia di bomba a mano gli ha rovinato un occhio.
Pierino ebbe però fortuna, poiché a Montegrosso, approfittando della disattenzione dei repubblichini, riuscì a dileguarsi, e non fu più ripreso…”
Rastrellamento nel novembre 1944 e la “tampa”.
“…a casa mia, a lato della stalla, c’era la “tampa”, un grande buco dove si metteva il letame che andrà poi distribuito come concime nei terreni coltivati; con mio fratello Ugo e mio padre Andrea avevamo scavato sul fondo per renderla più profonda, circa due metri e mezzo,e avevamo predisposto dei grossi pali che potessero sostenere molto letame, in modo che, sotto, potesse rimanere uno spazio sufficiente per nascondere una o due persone. Più avanti mi sarebbe tornata utile.
I repubblichini stazionavano da 10 giorni a Belveglio.
C’era sentore che quella sera ci sarebbe stato un rastrellamento Oltretiglione, e mio fratello Ugo mi impose di entrare nella “tampa”, ricoprendo il “tetto” di abbondante altro letame.
Erano le ore 23 di un giovedì novembrino, e faceva freddo.
Il caldo del letame quasi mi faceva piacere.
Sotto qualche coperta, mi addormentai, e dov’ero, percepivo all’esterno i rumori attutiti e opachi.
Ugo nel frattempo riuscì a fare scivolare nella tampa, in un pertugio del letame, qualche mela, un pezzo di pane, e un po’ d’acqua.
A pochi metri dalla tampa, vicino alla strada comunale, i fascisti avevano piazzato le mitragliatrici, e li sentivo confusamente parlottare, cercando in tutti i modi di non segnalare la mia presenza.
Nella tampa rimasi tutto il Venerdì, rimasi anche la notte che anticipava il Sabato, e uscii solo il Sabato alle 13, quando mio fratello giudicò che non c’era più alcun pericolo.
I repubblichini se ne erano andati…”.
Rastrellamento nella primavera del 1945: un giorno qualunque.
“…diciasettenne, in seno alla resistenza avevo il compito di fare la staffetta e portaordini, soprattutto di notte.
Quel giorno non avendo impegni di quel tipo, mi trovavo a casa e di mattino presto stavo pulendo la stalla con mio fratello Ugo.
Fuori un tempo uggioso invitava a rimanere in casa.
Quel mattino, quando cominciava ad albeggiare, con una pioggia insistente ed un freddo che penetrava nelle ossa, arrivarono a Belveglio tre camion con tedeschi e repubblichini, dirigendosi sulla salita che porta verso il Bricco di Belveglio.
I partigiani di questa zona erano soliti accasarsi all’Altina, e il Pierin che abitava in una casa sulla sommità della collina, accortosi dell’arrivo dei repubblichini dal rombo dei motori che sbuffavano in salita, inforcò la bicicletta e pedalando in modo disordinato e affannato riuscì a raggiungere l’Altina e ad avvisare la banda partigiana di Belveglio, che quel giorno contava di circa 30 unità, compresi anche alcuni partigiani forestieri, urlando “scappate che sono qui”,e già si sentivano alcuni crepitii di mitraglia, sparatoria che da casa mia sentivamo distintamente rendendoci ammutoliti e silenziosi.
Vestiti o svestiti, qualcuno scalzo, altri senza pantaloni, portandosi dietro le armi, e qualche vestito sotto le ascelle, fradici di pioggia, i partigiani, compreso il Pierin si gettarono letteralmente nelle vigne e nei boschi verso Rocchetta Tanaro, riuscendo ad evitare le mitragliatrici tedesche e repubblichine: solo Fiorino che stava attraversando un vigna, fu lievemente ferito ad un fianco, e per puro miracolo si salvò.
Anche Romolo, Battista, Nino, Meo, Ambrogino, il genovese Giovanni, mio cugino Teresio, che facevano gruppo, riuscirono a sfuggire all’attacco tedesco-repubblichino.
La banda partigiana al completo potè così continuare la lotta la nazi-fascismo.”.